Modello DADA
Modello DADA

Il modello DADA (Didattiche per Ambienti di Apprendimento) ha festeggiato le 10 candeline dalla sua prima introduzione in Italia. Sono oltre un centinaio le scuole aderenti alla rete. La metodologia, di derivazione svedese, prevede un’inversione organizzativa rispetto al sistema tradizionale. Di norma, infatti, gli studenti sono assegnati alle singole classi e i docenti si spostano in base al loro orario di servizio. Con il metodo DADA, sono gli studenti a muoversi tra le aule rispettando il proprio orario di lezione. In questo decennale hanno aderito tantissime scuole, sperimentando un nuovo modo di fare didattica. Ma, come praticamente per qualsiasi innovazione didattica, ci sono cori a favore e contrari. Vediamo meglio i punti di forza e quelli ritenuti di debolezza all’adozione di tale metodologia.

I vantaggi del modello per gli studenti

Secondo quanto sostengono i fautori di tale metodo, il modello DADA ha implicazioni benefiche tanto sugli studenti quanto sugli insegnanti. Per i primi, il cambio dell’ora non diventa più un semplice intervallo tra una materia e l’altra. Lo spostamento dovrebbe ottimizzare tale tempo, fornendo uno stimolo energizzante sulle capacità di concentrazione. Secondo diversi studi neuroscientifici, infatti, il movimento riattiva la mente. E il percorso da un’aula all’altra garantirebbe questo rinvigorimento. In parte, queste dinamiche sono già rinvenibili nel sistema didattico tradizionale con l’utilizzo dei laboratori o nelle attività di scienze motorie. Con l’applicazione generalizzata, si dovrebbero avere dei benefici maggiori.

I benefici anche per i docenti: aule personalizzate

L’idea di fondo è quella di creare degli spazi di apprendimento suddivisi per discipline o per dipartimenti. In tal modo, i docenti possono personalizzare quell’ambiente, rendendolo ricco di spunti e di strumenti adatti alla disciplina di riferimento. Ciò ha il compito di valorizzare le professionalità del docente stesso. Non solo: in tanti istituti, gli spazi vengono distinti per colori ed iconografie, in modo da permettere la costruzione di un’identità ai vari gruppi disciplinari. Sempre, però, mantenendo interazione tra i diversi dipartimenti. È inoltre fondamentale che l’aula sia condivisa al massimo da due docenti. Questo perché è importante che ogni insegnante abbia la sua possibilità di vivere e personalizzare lo spazio di apprendimento. Superando le due unità, questo diverrebbe molto più complesso.

Le criticità del modello DADA

Proprio quest’ultimo aspetto è uno dei punti critici che i detrattori di tale metodologia sollevano. La situazione delle strutture scolastiche in Italia non è idilliaca. E assegnare un’aula ad ogni singolo docente è numericamente impossibile in tante realtà. Questo, anche volendo, frena la possibilità di poter aderire al progetto, in quanto verrebbe meno uno dei cardini dello stesso modello.

L’aspetto maggiormente criticato, come intuibile, è però legato allo spostamento degli studenti. È abbastanza evidente che, per poter applicare correttamente il modello DADA, occorre una forte responsabilizzazione degli stessi. Il cambio dell’ora, altrimenti, rischia di diventare un “intervallo” a causa del massiccio movimento. Devono essere fissate delle regole per evitare “ritardi strategici” o soste non autorizzate.

Infine, alcuni sottolineano il rischio opposto, cioè che il docente sia “costretto” a restare nel medesimo spazio. In realtà, questa appare una contestazione “debole”. La personalizzazione dello spazio di apprendimento, che diviene attivo, appare molto più efficace e tendente alla valorizzazione rispetto allo spostamento continuo da un’aula all’altra del docente.